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Donazione Luzzetti PDF Stampa E-mail

                        Gianfranco Luzzetti
                                Biografia

Antiquari si nasce. Un giorno non sai perché, non sai come, ti trovi antiquario. Si comincia col fare l’antiquario per finire collezionista, e non ti accorgi che il microbo dell’antichità ti è saltato addosso, ti morde, ti divora”.

                                                                           Luigi Bellini.

Gianfranco Luzzetti, antiquario e collezionista di grande fama, nasce a Giuncarico, piccolo paese nel cuore della Maremma toscana. A causa del lavoro del padre, ispettore del Dazio, è costretto a spostarsi di paese in paese, tanto da riconoscere tutt’oggi nel territorio maremmano molte piccole patrie a cui lega immagini dei primi anni di vita. E’ qui che trascorre la sua infanzia allietata da giochi spensierati, come “i presepi” e i “carretti”, che egli stesso realizzava e vendeva in una sorta di attività commerciale per costruirsi un piccolo mercato. Questi singolari episodi fanno emergere, già, un entusiasmo ed uno spirito creativo che lo avrebbero spinto, negli anni futuri, alla ricerca di nuove emozioni e conoscenza.
 Nella prima giovinezza, che coincide con i difficili anni della guerra, Gianfranco Luzzetti si stabilisce a Grosseto, città di origine dei suoi genitori, dove insieme ai suoi fratelli maggiori si adatta ai più svariati lavori per contribuire al sostentamento familiare. La vita di provincia, però, lo lascia ben presto insoddisfatto; è cosi che accetta un nuovo lavoro e si trasferisce a Roma, dove prosegue gli studi e si accosta timidamente al mondo dell’arte. In seguito approda a Milano dove termina il servizio militare e decide di stabilirsi affinché diventi la sua città d’adozione. Il capoluogo lombardo, culturalmente attivo e stimolante, in piena fase di ricostruzione post-bellica, offre al giovane Gianfranco allettanti proposte lavorative, come l’impiego presso la British Petroleum - colosso petrolifero approdato in quegli anni in Italia - che gli permette di compiere numerosi viaggi anche all’estero. La visione di prestigiosi musei e gallerie, ma anche di piccoli mercati dove ricercare oggetti antichi, contribuisce al desiderio di dedicarsi completamente all’antiquariato. Inizialmente inaugura un piccolo negozio in via Morone con la collaborazione di una collega, “passando  dall’ oro nero ai fondi oro”, come oggi afferma scherzosamente; si accosta all’arredamento e alle arti decorative – mobili e maioliche – interessandosi poi alla scultura e alla pittura.
La ricerca del “bello” e del “meglio” lo portano ben presto ad un radicale cambiamento della professione, spostando il negozio nella zona più lussuosa della città: via Montenapoleone. E’ qui che avviene la conoscenza con le personalità dell’epoca, con i direttori dei maggiori musei del mondo, con grandi maestri (tra cui ricordiamo anche l’illustre Eugenio Montale che, affettuosamente, amava chiamarlo “toscanaccio”) che furono veri esempi di vita ed amici. Comincia inoltre a partecipare attivamente ad importanti mostre: a  Firenze, in Palazzo Strozzi; a Roma, in Palazzo Braschi; a Venezia, in Palazzo Grassi; ad Assisi, nel Sacro Convento di San Francesco; a Bologna, alla “Mostra Bella”; a Faenza e naturalmente a Milano in Palazzo Reale.
Se il capoluogo lombardo ha caratterizzato gli anni della formazione e dei primi importanti traguardi, quello toscano, dove si è trasferito dai primi anni ’80, ha qualificato la maturità professionale, portando avanti, con l’impegno e la dedizione che da sempre lo contraddistinguono, notevoli progetti ed incarichi. Nell’antico palazzetto del ‘200 dove tutt’ora risiede, originariamente annesso alla contigua Torre degli Angiolieri, Gianfranco Luzzetti, ormai antiquario affermato su scala internazionale, allestisce una galleria nella sala del piano terreno, intrattenendo ospiti e clienti internazionali con i suoi modi semplici, ma raffinati, con la simpatica modestia di chi ha costruito la propria vita non improvvisando, ma studiando ed aspirando ad estetici ideali. A Firenze contribuisce, inoltre, al rinnovamento della Biennale Mostra Mercato di Palazzo Strozzi e alla riscoperta e rivalutazione, insieme ad importanti storici dell’arte, tra cui Piero Bigongiari e Mina Gregori, di quel filone della pittura barocca a lungo dimenticato dalla critica sette - ottocentesca: il “Seicento Fiorentino”.
Sul finire degli anni Ottanta, mentre la collezione - arricchita ed accresciuta - inizia a prender corpo sulle pareti domestiche dell’antico palazzetto, l’antiquario comincia a pensare concretamente al destino della parte più significativa di essa. Il desiderio di un ritorno alle proprie origini, unito alla volontà di proteggere le opere dalla dispersione sul mercato o in altre collezioni, spinge il Luzzetti a considerare il Museo Archeologico di Grosseto come idonea destinazione, albergo futuro delle sue “creature”, lontano dalle più prestigiose istituzioni museali toscane, sia fiorentine che senesi, ormai sature di opere e congestionate nell’allestimento degli spazi. Non solo opere pittoriche e scultoree, ma anche ceramiche Robbiane e pezzi d’arredamento di alta epoca toscana, per un totale di circa quaranta capolavori, andranno in futuro ad arricchire il patrimonio archeologico e storico-artistico della città, secondo la volontà del collezionista.
Il 21 marzo 1999 in concomitanza con la riapertura del Museo, a seguito di un lungo restauro durato sette anni, già una parte della raccolta Luzzetti venne allestita all’interno della sala al piano terreno, inaugurando una mostra temporanea prolungatasi per circa quattro mesi. L’esposizione rappresentava un saggio introduttivo della futura donazione, mostrando una quindicina di quei capolavori che un giorno avrebbero accresciuto il patrimonio museale. Tra queste ricordiamo la Madonna con Bambino in trono e i Santi Lucia, Caterina d’Alessandria, Giovanni Battista e Francesco di Giovanni dal Ponte; la Madonna con Bambino e Santi del Maestro della Natività Johnson; La Vergine adorante Gesù Bambino di Andrea Della Robbia; l’Orazione nell’orto di Pintoricchio; Il matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria con San Giovannino e Santa Elisabetta di Amico Aspertini; la Figura muliebre di Francesco Morandini detto il Poppi; San Giovanni Battista in meditazione di Alessandro Allori e Tarquinio e Lucrezia di Felice Ficherelli. Non solo dipinti, ma anche elementi d’arredo di fattura fiorentina, come il pregevole  Tavolo in noce in asso di coppe, con intaglio di due stelle (ordine dei notai), del XVII secolo ed una coppia di Seggioloni in noce con finali a fiamme dorate e copertura originale in arazzo recanti negli schienali il Marzocco fiorentino, dei primi anni del Seicento. Tra le sculture ricordiamo la Madonna che allatta il Bambino di anonimo artista abruzzese-napoletano e la Madonna con il Bambino di fattura lorenese, entrambe della seconda metà del XIV secolo.
 L’esposizione del ‘99 è stata seguita nel 2007 da un’ulteriore mostra temporanea, sempre di opere provenienti dalla raccolta Luzzetti, intitolata “Teatralità nel Barocco Fiorentino”. Una preziosa rassegna d’inediti dipinti popolata da eroi ed eroine, martiri e santi della cristianità, in una cornice sobria e raffinata curata dallo stesso antiquario Luzzetti. Tra gli splendidi capolavori in mostra ricordiamo le Nozze mistiche di Santa Caterina del Cigoli; l’Allegoria dell’Amor di Virtù di Lorenzo Lippi; Ghismonda di Furini; Giona e la balena del Ficherelli; Santa Caterina d’Alessandria in meditazione e Lucrezia, entrambe di Cesare Dandini; Cleopatra di Sebastiano Mazzoni; Giuditta e Oloferne di Cristofano Allori e poi ancora Santa Caterina d’Alessandria del Botti;  Santa Margherita del Rosi e il Ritratto di gentiluomo e il Ritratto di gentildonna di Francesco Conti, solo per citarne alcuni.
In occasione dell’evento, il collezionista ha offerto alla comunità grossetana, come segno tangibile della futura donazione, la bellissima Sacra famiglia con San Giovannino e Santa Elisabetta di Santi di Tito, capolavoro firmato e datato 1601.
Ricordiamo, infine, tra le numerose iniziative intraprese da Gianfranco Luzzetti nell’arco di circa un quarantennio di attività anche l’impegno da lui profuso nel restauro di antiche dimore decadute, portato avanti parallelamente alla professione di antiquario e collezionista. E’ stata una vera e propria mania quella di far ritornare in auge alcune ville della campagna lombarda, tra cui “Villa Viscarda” e “Villa Panigarola Agnesi Albertoni”, e successivamente toscana,  tra cui “Villa Tornaquinci” e “Villa Poggio Torselli”. Con quest’ultima l’antiquario ha ottenuto notevoli riconoscimenti, sia nazionali, come il premio ricevuto nel 2003 dalla Fondazione Giulio Marchi per il migliore restauro in Italia, sia internazionali, come il “Silver Best” ricevuto nella V edizione del concorso “Best of Wine Tourism 2008” per la categoria “Architettura, Parchi e Giardini”.

                                                                                                                                     
Lucia  Ferri.


                        Alcune opere della futura donazione


Giovanni di Marco, detto Giovanni dal Ponte (Firenze 1385-1437)
Madonna col Bambino in trono e i Santi Lucia, Caterina d’Alessandria, Giovanni Battista  e Francesco.
Tavola, cm. 63,5 x 36

Madonna col Bambino in tronoLa pregevole anconetta, in buono stato di conservazione, fu esposta alla mostra di Birmingham nel 1953, concessa dalla collezione Earl of Plymouth, Oakly Park (Shropshire) dove era custodita e dove già risultava ascritta a Giovanni dal Ponte. L’attribuzione a quest’artista fiorentino fu successivamente confermata dal Berenson (1963) e dal Boskovits (1968). Quest’ultimo, per l’evidente sensibilità alla cultura di fine Trecento e per le affinità ai modelli di Spinello Aretino e Cenni di Francesco, la annoverò tra le opere giovanili del maestro. Il Tartuferi, invece, evidenziando le influenze dello Starnina e del Maestro della Madonna Strauss, artisti attivi a Firenze fino al primo decennio del XIV secolo, ne ha posticipato la datazione al 1415-20.
Ricordiamo come Giovanni dal Ponte abbia perseguito durante  la sua attività artistica una sintesi di reminescenze neo-giottesche, riscontrabili per esempio nell’impostazione delle figure, cultura tardogotica, visibile nell’andatura del manto bordato d’oro e nella decorazione della veste della Madonna e cultura rinascimentale.  

 


Apollonio di Giovanni, bottega di (Firenze, 1415 o 1417-1465)
Trionfo di Alessandro Magno.
Tavola, cm. 145x50.

La tavola, assegnata inizialmente a Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia (fratello di Masaccio), è stata recentemente attribuita da Sandro Bellesi all’entourage di Apollonio di Giovanni, pittore e miniatore fiorentino a capo di una delle più importanti botteghe di decorazione di cassoni nuziali nella Firenze del XV secolo.
trionfo di Alessandro MagnoL’opera, probabilmente la parte frontale di un cassone purtroppo oggi smembrato e disperso, raffigura un corteo trionfale composto da pariglie di cavalli trainanti carri, accompagnato da un seguito di soldati e cavalieri; lo sfondo, di tono fiabesco, appare delineato da un paesaggio collinare con torri e borghi isolati, popolato da case con tetti rossi.  La chiave iconografica del dipinto suggerita da Sandro Bellesi collegherebbe il mito delle conquiste asiatiche di Alessandro Magno con le figure simboliche del cerchio e della sfera visibili ripetutamente all’interno della scena. Alcune leggende medievali narrano infatti l’episodio profetico dell’albero del sole che annunciò al sovrano le conquiste del mondo.
Dal punto di vista stilistico, le influenze di Masolino e Gentile da Fabriano permettono di collocare la datazione dell’opera agli anni trenta del Quattrocento. Inoltre, come attestato dal Bellesi, lo studio delle vesti e delle fogge dei personaggi, ancora lontane dall’influsso orientaleggiante, inducono a ritenere la realizzazione del dipinto anteriore al 1439, anno dell’arrivo a Firenze dell’Imperatore Giovanni VII Paleologo di Costantinopoli per il concilio ecumenico richiesto da papa Eugenio IV.



Maestro della Natività Johnson (Firenze, seconda metà del XV secolo)
Madonna col Bambino in trono e i Santi Pietro, Giovanni Battista, Giacomo e Biagio.
Olio su tavola, cm. 158x158.


Anonimo artista del Quattrocento, il pittore di questa splendida opera deve la sua convenzionale dMadonna col Bambinoenominazione ad una Natività di Gesù conservata nella collezione Johnson del Philadelphia Museum of Art.
La pala, oggi di collezione Luzzetti, fu custodita nella raccolta Hyvrier di Parigi fino al 1887 per passare poi nella collezione di Jean Dollfus dove fu attribuita a Filippo Lippi. Successivamente passò nella raccolta Von Nemes, dove fu assegnata a Pietro di Lorenzo da Prato, mentre nel 1932 fu giudicata dal Berenson come il frutto della collaborazione tra Pesellino e il Maestro di San Miniato. Alberto Busignani invece la avvicinò al Maestro della Natività del Louvre ed infine Everett Fahy, nel 1966, ne attribuì la paternità all’anonimo artista quattrocentesco, assegnazione accolta  anche da Gemma Landolfi e da lei riportata nel catalogo dell’artista.
Datata sul finire del nono decennio del Quattrocento, l’opera mostra una struttura architettonica misurata - all’interno della quale le figure si collocano in  pose ieratiche- delimitata da un’alta recinzione che separa lo spazio aperto in cui si svolge la scena da quello esterno. E’ evidente il rimando all’hortus conclusus, tradizionale allusione alla verginità di Maria. Il raffinato pavimento marmoreo, prospetticamente realizzato, e la felice soluzione cromatica contribuiscono a qualificare l’opera tra i capolavori dell’artista.



Andrea Della Robbia (Firenze1435-1525)
La Vergine adorante Gesù Bambino. 
Terracotta invetriata, cm. 135,9 x 87,7. Iscrizione: AVE. MARIA GRAZIA PLENA

la Vergine adoranteAndrea Della Robbia, nipote del più famoso Luca, si specializzò nella tecnica della ceramica policroma invetriata ideata proprio dallo zio, dal quale successivamente ereditò anche la bottega.
In perfetto stato di conservazione, lo splendido altorilievo centinato mostra una tematica molto amata dall’artista; dello stesso soggetto ne realizzò, infatti, altre quattro tipologie, di cui quella più famosa rimane la pala del Monastero di La Verna.
L’opera della collezione Luzzetti fu probabilmente commissionata sul finire del XV secolo da Francesco Del Pugliese, Priore fiorentino già committente di un’Annunciazione visibile oggi nel chiostro dell’Ospedale degli Innocenti di Firenze, dove si ritrovano anche le lunette con i bambini a coronamento delle arcate della facciata. L’originaria committenza viene avvalorata, inoltre, dallo stemma della casata del Priore visibile alla base dell’opera, incorniciato da due cornucopie dalle quali fuoriescono frutta e fiori.



Bernardino di Betto , detto il Pintoricchio, attr. a (Perugia 1454 ca.- Siena 1513)
Orazione nell’Orto.
Tavola, cm. 58x42.


Orazione nell'ortoLa piccola tavola, in perfetto stato di conservazione, sembra corrispondere, secondo il Todini, con quella vista e annoverata dal Cavalcaselle all’interno di casa Strozzi a Firenze.
Le coincidenze tra le figure di Apostoli in primo piano con quelle visibili nei disegni autografi del Perugino, conservati nel Castello di Weimar e nella Royal Library di Windsor, unite all’elevata qualità della fattura e al modo d’interpretare il paesaggio di fondo, avvalorano, secondo Angelo Tartuferi, l’ipotesi del Todini riguardo la realizzazione dell’opera da parte del giovane Pintoricchio in un momento di stretta collaborazione con il Perugino. Questa attribuzione, accettata anche da Claudia Sonego, trova in disaccordo il prof. Nucciarelli che invece assegna l’opera ad un’artista perugino attivo tra la fine del secolo XV e i primi anni del XVI, non del tutto scevro dalla lezione peruginesca e dagli influssi pinturecchieschi: Berto di Giovanni. 

 



Baldassarre Carrari (documentato a Forlì e a Ravenna dal 1489 al 1516)
Deposizione.
Tavola, cm. 136 x 102; firmata nel cartiglio: BAL. FOR./PIN./M...


DeposizioneLa tavola, attribuita inizialmente alla scuola tedesca, appartenne fino al 1928 alla collezione Lurati di Imola; in occasione della vendita all’asta  fu accuratamente studiata dal Grigioni che individuò nel cartiglio, visibile in basso a destra, la firma dell’artefice e la datazione, purtroppo in parte coperta e quindi di difficile lettura. L’opera passò poi nella raccolta milanese di Carlo Foresti.
La cronologia, riferibile agli ultimi anni del XV secolo, costituisce un valido punto di riferimento per la ricostruzione dell’intera attività dell’artista del quale conosciamo un’unica opera datata: l’Incoronazione della Vergine e Santi del 1512, oggi conservata nella Pinacoteca Civica di Forlì.
Baldassarre Carrari, attivo a Forlì e a Ravenna, mediò il proprio stile sulla pittura ferrarese attraverso l’arte di Melozzo; fu influenzato anche dalla pittura veneziana appresa dal Rondinelli, allievo di Giovanni Bellini. Dal punto di vista stilistico appare chiaramente visibile nell’opera Luzzetti il timbro dell’arte nordica-fiamminga, visibile sia nelle figure, nella composizione prospettica del sepolcro, ma anche nella tavolozza dalle tinte acide con prevalenza di colori complementari.

 


Amico Aspertini (Bologna 1474/1475-1552)
Il matrimonio mistico di Santa Caterina con San Giovannino e Santa Elisabetta, Tavola, cm. 85x75.


Amico Aspertini, pittore bolognese,  mosse i primi passi nel capoluogo emiliano. Soggiornò successivamente anche a Firenze e a Roma, frequentando in quest’ultima città l’ambiente artistico-letterario di PintoricchioMatrimonio mistico e Filippino Lippi.  Attratto dall’arte d’oltralpe, sintetizzò nelle sue opere soluzioni bizzarre e fantasiose, grottesche fisionomie e paesaggi allucinati. Questo realismo vivido e curioso si ritrova nella tavola della collezione Luzzetti che in origine recava un’antica attribuzione a Raffaello. Secondo Daniele Benati, primo studioso ad aver attribuito l’opera alla paternità dell’Aspertini, l’opera fu “in parte ridipinta al fine di correggerne i tratti più apertamente anticlassici”.
Questo suo stile “anticonvenzionale” emerge soprattutto nelle figure del San Giuseppe e della Santa Elisabetta, ai margini della scena, mentre la Santa Caterina e la Madonna, al centro insieme al Bambino e San Giovannino, richiamano pose e fisionomie più equilibrate. Il Longhi (nel 1956), richiamando una pala in Saint Nicholas de Champs a Parigi, sottolineava la forte gestualità delle mani come elemento significativo e caratterizzante lo stile dell’artista.
Datata sul finire degli anni Venti del Cinquecento fu probabilmente realizzata dopo la Pietà, ma prima delle ante d’organo in san Petronio a Bologna.


Francesco Morandini detto il Poppi (Poppi 1544-Firenze 1597)
Figura muliebre.
Tavola, cm. 86x64,5.

figura muliebreLa raffinatissima Figura Muliebre della collezione Luzzetti comparve sul mercato antiquario londinese nel 1971 dove fu attribuita a Francesco Morandini, detto il Poppi. L’artista, noto soprattutto per l’intervento decorativo nello Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio (1571-1572), si distinse ben presto come uno dei rappresentanti più eleganti ed estrosi della sua generazione; nel tratto tipico del suo stile pittorico si fondevano le tinte acide e brillanti del cromatismo vasariano con le linee eleganti del disegno del Salviati. Il vivo interesse per la descrizione dei gioielli e delle acconciature derivano invece, certamente,  da una forte impronta fiammingheggiante.
Per ciò che concerne la cronologia dell’opera, lo Zeri propose gli anni intorno al 1570, considerando altre tre tavole di analogo soggetto e di lievi varianti disegnative. La prima si trova al Walters Art Gallery di Baltimora e raffigura una Sant’ Elena con la Croce; la seconda, custodita nella collezione del Duca d’Alba a Madrid, mostra una Santa Caterina d’Alessandria; la terza, di analogo soggetto, si trova presso la University Art Gallery di Notre Dame (Indiana). Un’ulteriore variante del dipinto Luzzetti si trova al Victoria and Albert Museum di Londra.



Santi di Tito (Sansepolcro 1535-Firenze 1603)
Sacra Famiglia con san Giovannino e Santa Elisabetta. 
Olio su tela, cm. 167,5x114,5, firmato e datato 1601.

Il pregevole dipinto è stato recentemente donato dall’antiquario Gianfranco Luzzetti al Museo Archeologico e d’Arte della Maremma.
La datazione, 1601, visibile sulla cesta in basso a sinistra, insieme all’iscrizione “SANTI TITI Sacra FamigliaFACIEBAT” attestano con certezza la paternità della tela al grande maestro. L’opera costituisce uno dei capisaldi per la ricostruzione degli ultimi anni di attività di quest’artista “riformato” che contribuì in maniera decisiva al superamento della maniera vasariana in nome di un realismo classicista addolcito da influssi veneteggianti.
Di dubbia provenienza, il dipinto potrebbe essere appartenuto ad uno dei tanti collezionisti enumerati dal Baldinucci nelle Notizie dei professori del disegno; gli schizzi conservati nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi attestano, infatti, i numerosi studi preparatori compiuti dal Titi che inducono a considerare una committenza ed una originaria destinazione di pregevole rilevanza.
L’immagine, equilibrata e di facile lettura, manifesta la chiara adesione del Maestro ai dettami suggeriti dalla chiesa post-tridentina, nel tentativo di ricondurre la pittura all’antica funzione di “bibbia dei poveri”. La verosimiglianza dei personaggi, visibile sia nella veste rossa e nel manto blu di Maria, sia nei tradizionali attributi del San Giovannino, insieme al decoro e alla figura umanizzata e materna della Madonna evidenzia una composizione dal tono squisitamente colloquiale.



Felice Ficherelli, detto il Riposo (San Gimignano 1603-Firenze 1660)
Tarquinio e Lucrezia.
Tela, 99 x 148.

Tarquinio e LucreziaDella pittura licenziosa della metà del Seicento, Tarquinio e Lucrezia di    Felice Ficherelli, detto il Riposo, si qualifica certamente come uno dei capolavori.
Il dipinto rappresenta un episodio legato alla storia dell’antica Roma, quando Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo, sta per violare Lucrezia, sposa fedele di Tarquinio Collatino, sul talamo nuziale. Non sopportando l’oltraggio subito, la donna si ucciderà con un pugnale e il suo suicidio provocherà la cacciata del Superbo da Roma, la fine della monarchia e la nascita della repubblica.
Le figure, incorniciate da una cortina rossa che si apre come un sipario teatrale, si snodano in uno spettacolare taglio compositivo che vede il corpo di Lucrezia, in orizzontale, contrapporsi a quello di Tarquinio, in diagonale. L’ enfasi  dell’evento viene accentuata dal gesto plateale e violento dell’aggressore al quale la donna oppone una debole difesa, quasi una rassegnazione verso l’inevitabile tragedia che sta per consumarsi.
Dello stesso soggetto, sempre realizzate dall’artista, esistono numerose varianti catalogate in collezioni italiane e straniere. Tra quest’ultime ricordiamo un dipinto conservato nell’Accademia di San Luca a Roma attribuito inizialmente a Guido Cagnacci e restituito da Mina Gregori, nel 1960, al catalogo del Ficherelli. Qualche anno più tardi Giuseppe Cantelli rintracciava una tela di analogo tema nei depositi delle Gallerie degli Uffizi; oltre a queste versioni, secondo le ricerche attuate da Sandro Bellesi, altre due opere si troverebbero nel Museo di Belle Arti a Budapest, un’ulteriore nella Villa d’Este a Tivoli ed un’altra, passata nel 1989 presso Sotheby’s di New York, sul mercato estero. Infine, altre due dipinti anonimi sarebbero conservati in una collezione privata inglese.
Il confronto stilistico con le opere citate colloca cronologicamente l’opera Luzzetti alla metà del XVII secolo, negli anni della maturità dell’artista. 

Lucia Ferri


 

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