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Gli Aldobrandeschi PDF Stampa E-mail

La famiglia degli Aldobrandeschi ha avuto, nella storia della Maremma, una importanza notevole dal punto di vista politico, sociale ed economico ed ha segnato profondamente le caratteristiche della regione.
Il carattere della Contea fu decentrato, formato da una ottantina di castelli senza alcuna condizione di sottomissione gli uni agli altri; essi erano luoghi preferiti di dimora dei Conti, senza che nessuno di essi avesse una posizione di esclusività. Si sa invece che scegliere una dimora fissa come capitale fu uno degli elementi che favorirono lo sviluppo di alcuni centri urbani e la nascita di nuove città in zone poco popolate.
I Conti non scelsero una residenza stabile, così in Maremma non nacquero nuovi centri urbani e quelli che c’erano non ebbero una espansione politica ed economica importante.

conteaGli storici hanno cercato di risalire alle origini della famiglia degli Aldobrandeschi, ma non sono arrivati ad un risultato certo. Hanno fatto molte ipotesi, la più attendibile delle quali sembra essere quella che siano di origine longobarda e che siano arrivati in Italia centrale al seguito del re Autari, quando questi tentò la conquista della nostra Penisola.
Le prime generazioni della famiglia, come risulta dalle fonti storiche lucchesi, facevano parte dell’aristocrazia di Lucca ed erano legate all’ambiente dei Vescovi. I suoi componenti erano per la maggioranza “chierici” e si occupavano delle vendite della terra e delle permute di chiese private.
Gli Aldobrandeschi, quindi, avevano un rilievo sociale non diverso però dalle altre famiglie del luogo; solo dopo la metà dell’800 acquistarono un certo potere.
Sulla fine del 700, come risulta da un documento che si trova nell’Archivio di Stato di Firenze, un Ilprando, figlio di Alperto, è nominato signore di Roselle.
Ma i documenti da cui si parte per ricostruire la genealogia degli Aldobrandeschi sono alcuni codici del IX secolo nei quali è scritto che nell’803 il vescovo di Lucca, Iacopo, dette in locazione alcune terre nel territorio di Sovana e Roselle ad Aliperto II e Ildeprando I, figli di Ilprando. 
Inizia così la storia degli Aldobrandeschi in Maremma.
Alperto II morì senza aver avuto figli, così Ildeprando I restò unico  signore di quei possedimenti; ad Ildeprando I successe poi Eriprando I.
Dalle fonti lucchesi, che sono molto ricche, si può ricostruire il successo di Eriprando I. Egli gettò le basi del potere degli Aldobrandeschi, per questo da molti storici viene considerato il capostipite della famiglia. Egli era infatti legato all’imperatore ed aveva avuto un ruolo molto importante nelle sistemazioni politiche della regione, pur mantenendo il legame con l’autorità vescovile. Si può dire che da qui partì la fortuna della famiglia che acquistò sempre di più una posizione sociale notevole.  Geremia, il primogenito di Eriprando I, fu vescovo di Lucca dal1'853 all'867, Eriprando II fu vassallo alle Corti di Lotario I e Ludovico II e Ildeprando o Ildebrando, al quale era stato dato da Ludovico II il titolo di conte, sfruttando l’appoggio del fratello Geremia, allargò i possedimenti della famiglia e gettò così le basi di quella che diventò la potente contea in Maremma. 
Le notizie sulla famiglia in questo periodo, a causa della dispersione degli archivi di molte chiese e monasteri, diventano scarse, quindi per conoscere la loro storia, ci si rifà a fonti letterarie che parlano di Ildebrando II, primo conte di Roselle,  e ne testimoniano il ruolo sociale e politico.
Roselle fu la prima sede scelta dagli Aldobrandeschi per governare le loro terre. Era una città fiorente, con campagne fertili; aveva soprattutto una posizione strategica: vicina alla via Aurelia, era soprattutto al centro di quei territori che avevano ricevuto dai Vescovi di Lucca. Gli Aldobrandeschi rimasero a Roselle per circa un secolo; si trasferirono a Sovana quando i Saraceni la distrussero.
A Ildebrando successe Rodolfo I e quindi Rodolfo II, poi Ildebrando III che, dal 989 al 1015, troviamo conte di Roselle, Sovana e Santa Fiora.
Alla fine del 900, quando le fonti storiche si fanno più abbondanti, la famiglia risulta proprietaria di molti beni: da Grosseto a Sovana, da Castro alla Valle dell’Orcia, dai dintorni dell’Amiata fino alla Garfagnana nella Toscana settentrionale.
Ildebrando IV, figlio di Rodolfo II, in seguito al matrimonio con Willa, si era imparentato con i principi di Capua e Salerno ed aveva stretto una particolare relazione con Enrico II, cosa questa che aveva avuto come conseguenza l’aumento della potenza della famiglia. Egli estese i confini dei territori sotto il loro dominio, fino ad arrivare alla Val di Nievole e alla Val d’Elsa.
Fu descritto dagli storici del tempo  come un usurpatore dei beni ecclesiastici e come colui che si vantava di possedere tanti castelli quanti sono i giorno dell’anno.
Dopo di lui vennero Oberto e Ildebrando, poi Ranieri, conte di Santa Fiora e di Arcidosso ed Ugo o Uguccione, conte di Grosseto.
Delle vicende della famiglia si hanno certezze solo intorno all’anno 1000, quando essa raggiunse il massimo splendore.
A questo periodo risale la conquista dei castelli dell’Amiata. Ora i possedimenti degli Aldobrandeschi vanno da Volterra al bacino dell’Ombrone, dell’Albegna e del Fiora; dai monti e dalle colline fino al mare, con castelli e fortificazioni che servirono per lungo tempo a fronteggiare le potenze di Pisa e Firenze, Orvieto e Siena. Gli Aldobrandeschi avevano cominciato a conquistare e costruire quei fortilizi e quei castelli che servirono ad assicurare loro un notevole potere per diversi secoli. Inoltre quei castelli, soprattutto nelle zone delle montagne, concorsero a ripopolare e rendere più forte la gente che vi abitava.
Aumentando il loro potere nella Maremma, gli Aldobrandeschi rallentavano piano piano i loro rapporti con Lucca e venivano a contatto con la Badia di San Salvatore sul Monte Amiata e con Siena ed Orvieto.
La loro potenza, sempre crescente, derivava non soltanto dai loro beni, ma era anche dovuta alla loro politica poiché, durante quei secoli nei quali era forte la lotta tra la Chiesa e l’Impero, essi seppero sfruttare l’appoggio dell’Imperatore senza mettersi in contrasto con il Papa. A favore loro giocava poi la posizione geografica del feudo. Sotto il loro dominio, e quindi sotto il loro controllo, erano infatti due grandi vie di comunicazione per le quali passavano i grandi pellegrinaggi: la via Aurelia sul mare e all’interno la Via Francigena.
Ma ci furono altre importanti ragioni che fecero sì che gli Aldobrandeschi riuscissero a mantenere, per diversi secoli, la loro potenza. Anzitutto l'elasticità mentale e l'opportunismo di molti dei conti, poi  la forte unità della famiglia e la solidarietà tra i suoi componenti (che durò fino al XIII secolo). Non vi furono contrasti tra loro, inoltre sapevano recuperare i beni di parenti anche lontani, morti senza eredi. La caratteristica, forse più importante, fu anche quella che una sola persona, per diverse generazioni, tenne la guida della famiglia. A lui solo andò il titolo di conte e questo, molto probabilmente, contribuì a limitare le rivalità interne e costituì forse un punto di riferimento costante per tutta la famiglia. Ogni componente ebbe sempre un senso di appartenenza comune e la consapevolezza di una condivisione di interessi.
Il quadro politico intorno all’anno 1000 è caratterizzato dalle lotte sempre più frequenti fra impero e papato. In questo quadro si distingue la figura di un Aldobrandeschi che era stato eletto papa con il nome di Gregorio VII, che ebbe come scopo quello di liberare per sempre la Chiesa dal potere dell’Impero. In questa lotta, gli Aldobrandeschi si schierarono con il Pontefice.
Gli storici ci parlano di loro come rozzi guerrieri che pensavano a difendere i loro diritti e i loro possedimenti, che cominciavano ad essere minacciati dalla Repubblica di Firenze, da Siena e dalla Repubblica di Pisa.
All’inizio del XII secolo troviamo i conti Malagaglia e Ildebrandino, figli di Ranieri. Poi Ugo o Uguccione, figlio di Malagaglia.
A metà del 1100 il figlio di Uguccione, Ildebrandino Novello, è al governo della Contea.
La sua fama era molto elevata. Egli fu capitano e podestà di Viterbo, fu a capo dell’esercito dei Pisani che combattevano con Genova e Lucca, in seguito partecipò all’alleanza con Firenze, Pisa, Prato e Volterra contro Genova, Lucca, Pistoia e Siena.
Al conte Aldobrandino Novello succedette il figlio Aldobrandino VIII che dovette difendersi dai pericoli che minacciavano le sue terre da parte di Orvieto che nel frattempo si era notevolmente rafforzata. Gli Aldobrandeschi si trovarono così contesi tra Orvieto e Siena che avevano stipulato un patto di solidarietà.
Ma Ildebrandino seppe, con la sua politica, garantirsi il favore dell’imperatore che lo nominò suo vessillifero, garantendogli la sicurezza dei suoi possedimenti.
Orvieto e Siena non avevano però abbandonato le loro mire espansionistiche a danno dei possedimenti degli Aldobrandeschi. Orvieto puntava al dominio dei territori fino al fiume Albegna; Siena stava affermando la propria autonomia ed in poco tempo era diventata molto potente e cercava in tutti i modi di conquistare la Maremma, non solo per impadronirsi dei suoi pascoli, ma soprattutto per dominare la costa.
Ildebrandino, non potendo più contare sull’appoggio dell’Imperatore, per evitare uno scontro con le due Repubbliche che avrebbe portato un risultato durissimo e sfavorevole per la Contea, stipulò con esse patti di alleanza che coinvolgevano anche alcuni vassalli e valvassori della Contea, discendenti dagli Aldobrandeschi o imparentati con loro attraverso matrimoni.
Siena, incurante del patto stipulato, si impossessò definitivamente di Montelaterone, considerato una posizione strategica. Ildebrandino che si sentì sempre di più minacciato, si accordò con il Pontefice, mantenendo comunque buoni rapporti con l’Imperatore.
Con la morte di Ildebrandino si ha una prima crisi all’interno della famiglia, dovuta al testamento lasciato dal Conte con il quale aveva in pratica diseredato il figlio primogenito Ildebrandino IX a favore dei figli della seconda moglie. Egli forse presagì, come scrive il Ciacci, “che il sistema del feudalesimo stesse per crollare e pensò, dividendo il territorio della Contea tra i figli, di decentrare le difese dei domini troppo estesi che non potevano essere difesi sufficientemente, o forse più semplicemente volle cedere alle pressioni della seconda moglie che voleva assicurare l’avvenire dei propri figli.”
A causa di tutto ciò si ebbe un periodo di lotte tra i fratelli che coinvolse anche molti aristocratici e che si concluse con una sommaria divisione della Contea in quattro parti con a capo di ognuna uno dei quattro fratelli: Guglielmo I, chiamato da Dante il “gran tosco”, Ildebrandino maggiore, Bonifacio e Ildebrandino minore.
Tuttavia il feudo rimase indiviso e il governo della Contea restò comunque ad un solo fratello e fu affidato ad Ildebrandino IX, il quale non pensò a nuove conquiste, ma soprattutto al consolidamento e alla difesa della Contea. A questo scopo egli strinse nuovi patti con Orvieto
In questo periodo era cominciata la lotta tra l’imperatore Federico II e il papa Innocenzo III. I quattro fratelli, temendo che la Repubblica di Siena prendesse a pretesto questi avvenimenti per impadronirsi dei loro possedimenti, strinsero con essa una alleanza.
Intanto erano morti, senza lasciar prole, i due Ildebrandini maggiore e minore. La Contea rimase sotto il governo dei due fratelli rimasti, Bonifazio e Guglielmo, ma fu quest’ultimo che, ancora giovane, assunse la rappresentanza della famiglia e il governo della Contea e dimostrò nelle varie circostanze, anche tragiche, di questo suo compito una rara fermezza e nobiltà d’animo.
Tra i due fratelli, a poco a poco, si creò una divisione soprattutto per ragioni politiche. Bonifazio restò ghibellino, mentre Guglielmo, per ragioni diverse, divenne guelfo.
Siena non aveva abbandonato la sue mire di conquista, tendeva al possesso di Grosseto come base per la progressiva conquista della Maremma stessa  e per arrivare al mare ed espandere così i suoi commerci.
Guglielmo dichiarò libera la città di Grosseto, concedendole notevoli franchigie per evitare che un attacco da parte di Siena che, malgrado l’alleanza che aveva stipulato con gli Aldobrandeschi, la occupò e ne distrusse le mura. Questo atto che non trovò giustificazione neppure da parte degli storici senesi contemporanei, suscitò le proteste del Pontefice che prese Guglielmo sotto la sua protezione.
Ma le mire di Siena sulla Contea non erano terminate.
Intanto Guglielmo, dopo la presa di Grosseto, voleva ad ogni costo rompere ogni alleanza con Siena e l'occasione gliela porse la guerra che si accese fra Siena stessa e Firenze. Egli si alleò con i Fiorentini; ma dopo diversi anni, poiché i Senesi continuavano ad attaccare le sue terre e Firenze non poteva dargli aiuti,  perché era troppo divisa per le lotte interne tra guelfi e ghibellini, rinunziò all'alleanza di Firenze e chiese la protezione di Siena.
Guglielmo era restato, in un primo momento, neutrale nelle lotte fra il Papa e l'Imperatore, poi aderì alla lega dei Comuni toscani e umbri coalizzati a favore del pontefice Gregorio IX contro Federico II. L'Imperatore, scomunicato dal Papa, scese a Roma sottomettendo numerose città toscane e umbre di parte guelfa, grazie all'aiuto dei ghibellini toscani suoi alleati. Successivamente l'esercito imperiale entrò nella Contea aldobrandesca, che era in una ottima posizione per entrare nello Stato Pontificio. L'esercito al comando di Pandolfo di Fasanella si schierò lungo le sponde del Fiora ed assediò Sovana, centro della Contea, ma, nonostante i duri attacchi, la città resistette valorosamente per merito di Guglielmo e dei suoi figli Guglielmo II, Umberto e Ildobrandino il Rosso. Due anni dopo tutto il territorio maremmano era occupato dalle truppe imperiali e Guglielmo fu costretto a riconoscere l'autorità dell'Imperatore e ad accettare un presidio imperiale in Sovana ed in altri centri della Contea.
Nei secoli la famiglia non aveva mai corso un pericolo così grave, ma proprio per merito di Guglielmo la Contea, attraverso vicende alterne, si era salvata.
La sua fine però arrivò dopo alcuni anni proprio dall’interno della famiglia. Il figlio di Bonifacio, Ildebrandino aveva firmato un patto di alleanza con Orvieto e, in accordo con lo zio Guglielmo, aveva concesso ai Fiorentini l’uso dei porti di Talamone e Porto Ercole.
Solo alcuni giorni più tardi egli stipulò un patto con i Senesi, nemici di Orvieto e Firenze, ma soprattutto nemici della sua famiglia, compromettendo la posizione dello zio Guglielmo. Inoltre nella guerra tra Firenze e Siena i due si trovarono a combattere uno contro l’altro: il conte Guglielmo alleato con Firenze e Ildebrandino con Siena.
Il comportamento di Ildebrandino portò alla divisione della Contea per la quale Guglielmo aveva tanto lottato, divisione  che fu sancita con il trattato stipulato dal notaio Ser Brunetto Latini nel 1254.
Nello stesso anno Guglielmo, prode combattente, uomo dalla condotta politica leale, morì.
Dopo la sua morte la Contea è praticamente divisa: ai figli di Guglielmo fu assegnata Sovana ed i possedimenti della Maremma marittima, mentre ad Ildebrandino figlio di Bonifazio furono assegnati i castelli del Monte Amiata e di Santa Fiora.
Intanto Siena continuava a svolgere la sua politica di conquista della Maremma, impossessandosi di tanti piccoli castelli e portando dalla sua parte molti vassalli degli Aldobrandeschi.
Il conte di Sovana, Umberto, ricordato da Dante nel canto XI del Purgatorio, non subì passivamente questa situazione. Egli, dopo il trattato che aveva sancito la divisione della Contea, aveva creduto in un periodo di pace e quindi era andato al servizio di Orvieto nella guerra contro Todi. Siena ebbe così campo libero, si impadronì di Piancastagnaio, acquistò Montorsaio e ottenne il controllo di Campagnatico.
Quando Umberto tornò in patria, si rese conto della situazione e mosse guerra contro Siena, le cui forze, però, erano molto superiori.
Sotto le mura del castello di Campagnatico trovò la morte in circostanze misteriose  (1258).
Il fratello Ildebrandino il Rosso prese il governo della Contea e spostò la sua sede da Sovana a Pitigliano ritenendolo un castello più sicuro. Da lì, pieno di rancore per l’uccisione del fratello, compì rappresaglie sui territori che si erano sottomessi a Siena.
Ildebrandino, a differenza del fratello, era però più riflessivo e prudente, così, in seguito, preferì usare la diplomazia per combattere contro Siena.
Egli mantenne l’alleanza con i Senesi per quattro anni, ma poi, per difendersi da loro stipulò un accordo con Firenze, schierandosi con il partito guelfo contro quello ghibellino di Siena, e partecipò con le sue truppe alla battaglia di Montaperti, nella quale si trovò a combattere anche contro il cugino Conte di Santa Fiora. Nella battaglia i Ghibellini senesi vinsero i Fiorentini ed il conte di Sovana fu fatto prigioniero e liberato successivamente dopo la firma dell'atto di pace.
In seguito, Aldobrandino ritornò sotto la protezione di Siena che lo nominò persino fra i capitani dell’esercito. Da allora in poi egli visse un periodo di pace con i Senesi e consolidò i possedimenti della Contea.
Siena però continuava la sua opera di conquista delle terre di Maremma, grazie anche a patti di alleanza con Ildebrandino di Santa Fiora, così Aldobrandino il Rosso strinse rapporti più stretti con Orvieto e con il Papa.
Intanto le truppe di Carlo d’Angiò comandate dal conte Guido di Montfort, vennero in aiuto dei Guelfi e Ildobrandino il Rosso combattè al loro fianco. L’amicizia nata con Carlo d’Angiò diventò più stretta a seguito del matrimonio dell’unica figlia di Ildebrandino, Margherita, con Guido di Montfort, vicario del re in Toscana e cugino del re d’Inghilterra.
Questi, nel 1270, trovandosi in Viterbo ad un congresso di principi, uccise, nella chiesa di San Silvestro (oggi del Gesù), Arrigo, nipote del re d'Inghilterra, per vendicare il proprio padre, morto in una congiura contro lo stesso re. Compiuto il delitto, si rifugiò in Maremma; visse tranquillo in Sovana con la giovane sposa fino al 1287, quando, fatto prigioniero nella sconfitta toccata dall'esercito del re Carlo II, morì nelle carceri della Catalogna.
Intanto i due cugini Aldobrandeschi, unici rimasti della famiglia, erano in continua lotta tra loro, fino a che non fu stipulata la pace (nel 1274), alla presenza di David vescovo di Sovana e di molti nobili, che portò come conseguenza la divisione definitiva fra i due eredi, per terminare, dice il contratto, le discordie di famiglia.
Aldobrandino di Guglielmo ebbe i cinque castelli fortificati di Sovana, Pitigliano, Orbetello, Marsilliana, Sorano, Vitozza.
Aldobrandino di Bonifacio, Santa Fiora, Piancastagnaio, Aspretolo, Boceno, Castel di Marciano, Proceno, Castel del Piano.
Nella divisione dei principali luoghi della Contea si aggiunsero, per tutte e due le parti, molte terre e castelli di minore importanza e i diritti e baronie che gli Aldobrandeschi avevano in Maremma.
Rimanevano proprietà comune le miniere d’argento di Selvena, la città di Grosseto che Siena aveva restituita, il bagno di Saturnia e i castelli posti nel territorio di Volterra.
Nel 1283 muore Ildebrandino di Santa Fiora. I figli confermano i trattati con Siena.
Un anno dopo muore Ildebrandimo il Rosso in Sovana.
Con la morte dei due Ildebrandino si può dire che termina la storia della famiglia degli Aldobrandeschi.
Quella che segue è la storia particolare dei Conti di Sovana – Pitigliano e dei Conti di Santa Fiora.

Ildebrandino il Rosso aveva lasciato un'unica figlia, Margherita, che, come abbiamo visto, si era congiunta in matrimonio a Guido di Montfort, che governò col titolo di “contessa palatina”.
Rimasta sola, dopo la morte del marito, e essendo la Contea insediata da ogni parte, cercò in ogni modo di salvarla dalle continue e ripetute aggressioni, cercando con numerosi matrimoni di apporsi alla mire di Siena, del Papa e dei cugini di Santa Fiora.
Dopo Guido di Montfort sposò Nello della Pietra, Orso Orsini, Goffredo Caetani, Guido degli Aldobrandeschi di Santa Fiora. Ma le ostilità, alle quali si era aggiunta anche quella del Papa Bonifacio VIII e quella degli Orsini, continuarono: quasi tutti i castelli vengono conquistati. Il Papa, con una ostinata determinazione, spoglia Margherita della sua eredità e quindi di ogni diritto feudale, dopo averla dichiarata colpevole di incesto.
Dopo la morte di Margherita, il dominio rimase nelle mani dell'unica figlia Anastasia che, nel 1293, andò sposa a Romano Orsini, nipote del pontefice Niccolò III. Così la Contea passò ai Conti Orsini che governarono sino al 1604 una Contea che risulta notevolmente ridimensionata, fino a ridursi solamente a Pitigliano e Sorano.

A Santa Fiora rimasero i discendenti di Bonifazio.
A differenza del ramo di Sovana, gli Aldobrandeschi di Santa Fiora ebbero un eccessivo numero di  eredi. Le loro risorse non bastavano più, così essi vissero in continua discordia tra loro, in una povertà sempre crescente.
Nel 1315 gli Aldobrandeschi di Santa Fiora ripresero Roccastrada; questo provocò la reazione di Siena con una lotta che durò per due anni fino a quando gli Aldobrandeschi non resero loro la città, mentre ebbero riconosciuto il possesso di Grosseto.
Da allora in poi essi cedettero un po’ per volta le loro proprietà a Siena, che avanza nel possedimento della Contea. Gli Aldobrandeschi non potevano più opporre la solidarietà della famiglia che era cresciuta sorprendentemente, così continuarono a vendere i loro fondi.
Degli ultimi signori del Monte Amiata si sa poco o nulla; poche notizie si hanno del conte Francesco che lottò contro i Senesi per poi sottomettersi a loro.
Siena continuava ad impossessarsi dei castelli della Contea; i molti discendenti del conte Bonifazio non avevano più alcun potere o prestigio. Le rendite erano insufficienti per i loro bisogni e quindi vivevano alle soglie della povertà. Intanto Siena aveva raggiunto lo scopo che si era prefisso per secoli conquistanto la Contea di Santa Fiora.
Nel 1438 morirono il conte Guido, l’ultimo degli Aldobrandeschi e poco dopo anche l’unico figlio maschio. Restarono tre figlie: Cecilia che sposò Bosio, figlio illegittimo di Muzio Attendolo Sforza, Giovanna il conte Galeazzo d’Arco e Gabriella il senese Bartolomeo Pecci. Le sorelle rinunciarono ai loro diritti sulla Contea a favore di Cecilia, quindi feudo e titolo passarono nel 1461 agli Sforza e in seguito (1673) agli Sforza – Cesarini.
Così ebbe fine la gloriosa famiglia degli Aldobrandeschi.

Bibliografia
Gaspero Ciacci
Gli Aldobrandeschi nella storia e nella “Divina Commedia”
Multigrafica Editrice Roma 1980

Gli Aldobrandeschi
La grande famiglia feudale della Maremma Toscana
(Atti del Convegno promosso dai Lions Club di Alta Maremma Amiata Chianti Chiusi Grosseto Aldobrandeschi Grosseto Host Orbetello I Presidi Siena)
A cura di Mario Ascheri – Lucio Niccolai
Ed C&Padver effigi Arcidosso

Simone M.Collarini
Gli Aldobrandeschi da “conti” a “principi territoriali” (secoli IX-XIII)
Edizioni ETS Pisa 1998

Ippolito Corridori
Gli Aldobrandeschi nella storia maremmana

Giuseppe Fabriziani
I conti Aldobrandeschi e Orsini: sunti storici con note topografiche, etnografiche e illustrative sull’antica contea di Sovana e Pitigliano
Tip. Della lente di Osvaldo Poggi Pitigliano

La Piccola Treccani
Dizionario Enciclopedico
Istituto della Enciclopedia Italiana
1995, SIAE

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